Acharya Rtabuddhyananda Avadhuta, il monaco indiano che ha sconfitto la paura, ha un sorriso mite e dolcissimo. Porta con sé, attaccata alle sue vesti arancioni, simbolo di rinuncia, la pacifica gentilezza della sua scelta di vita e la profondità di una tradizione culturale, filosofica e spirituale che ha molto da insegnare all’umanità.
Un sabato pomeriggio ad ascoltarlo parlare, degustando del buon tè, meditando insieme, nell’accogliente centro yoga dell’Ananda Marga a Villorba, è speso bene.
Acharya Rtabuddhyananda Avadhuta, cosa ha significato per lei incontrare il suo maestro spirituale?
Quando ho conosciuto il mio maestro (Shrii Shrii Anandamurti, ndr), ho realizzato che Egli non solo conosceva ogni cosa della mia vita, ma conosceva anche i miei pensieri. Oltre a ciò, rimasi molto affascinato dal Suo amore e dalla sua capacità di prendersi cura. Nessuno riesce ad amare e a prendersi cura come fa Lui.
Mi accorsi che il mio Guru era “stabilito” nell’ideale che insegnava. Il suo ideale di costruire una società umana mi colpì.
La mia intera vita venne trasformata dal mio diventare una persona centrata in se stessa, ci fu un grande cambiamento nella mia vita e decisi di dedicare me stesso al bene dell’umanità, che era la missione del mio Guru.
Come sta portando avanti la sua missione?
Chiamiamo il nostro guru “baba”, padre. La sua missione è portare pace interiore e felicità attraverso lo yoga e la meditazione e innescare il cambiamento sociale attraverso l’autorealizzazione e il servizio all’umanità, per creare una società realmente umana.
Io insegno meditazione e yoga per far star bene le persone e con l’Ananda Marga porto avanti delle opere a beneficio delle comunità. Stiamo lavorando in campo educativo e ambientale. E lo facciamo in tutti i paesi del mondo tranne che nelle nazioni “dogmatiche”.
Quale messaggio vuole dare alle persone che sta incontrando nelle diverse tappe del suo viaggio in Italia?
Alle persone che incontro dico che lo yoga e la meditazione sono la via più scientifica per raggiungere la pace interiore e la felicità. È un approccio olistico, integrato, alla salute. Ad esempio, cantare canti sacri (il kiirtan è una pratica yoga, ndr) contribuisce a sciogliere le complessità psichiche.
Il mio invito è ad accrescere la qualità della propria vita attraverso la pratica dello yoga e la meditazione e poi fare del bene agli altri e all’ambiente intorno a noi, secondo la capacità di ciascuno, quindi attraverso il servizio all’umanità. Amare Uno e tutti.