Dante come Arjuna, Virgilio, sua guida, come Krishna. La Divina Commedia come la Bhagavad Gita (“Canto del Divino”), poema epico indiano, considerato testo sacro dall’induismo. E ancora: la “selva oscura” del Poeta fiorentino e il travaglio del Guerriero orientale prima della battaglia, la condizione umana di buio in cui nasce la spinta interiore, il desiderio, della luce. In cui può iniziare il cammino.
Marco Ferrini, presidente del Centro Studi Bhaktivedanta e direttore dell’Accademia di Scienze Tradizionali dell’India, scorge nella trama delle due opere lo stesso filo rosso, con dei «parallelismi di contenuto, spirituale e anche teologico, sorprendenti». Che gli fanno dire, a lui insegnante di yoga: «Dante era uno yogi».
Ferrini sarà a Treviso domenica 15 marzo, con una conferenza di straordinario interesse su due capolavori della letteratura universale (ore 15.30, teatro Eden). Organizza il Centro Studi Bhaktivedanta in collaborazione con il Centro culturale Karuna. L’ingresso è libero, è consigliata la prenotazione.
Mestro Ferrini, non le pare un po’ azzardato accostare la Divina Commedia e la Bhagavad Gita?
Ad una lettura superficiale possono sembrare due testi diversissimi. Ma se si scava oltre il primo livello di racconto, quello letterale, allora emergono le analogie profonde tra queste due opere ispirate e i loro insegnamenti spirituali perenni. Ad esempio, in entrambe le opere viene riconosciuta l’esistenza di una legge divina che sostiene l’Esistente: il dharma per la tradizione induista, e “l’amore che move il sole le altre stelle”, nella concezione dantesca. Chi sostiene il dharma è sostenuto dal dharma. Conformandosi nel comportamento e nelle scelte di vita a questo ordine morale si ottiene il sostegno dell’universo, del divino. È questo l’insegnamento di fondo che apprendono sia Dante che Arjuna nel loro percorso, sotto la guida dei loro maestri.
Dante-Virgilio, Arjuna-Krishna: due “strane coppie”, potremmo dire. In cosa si assomigliano?
Hanno in comune il centro della relazione, il rapporto maestro-discepolo, la necessità di imparare e di farsi guidare, in questo percorso di conoscenza di sé e delle verità più sottili. Senza il maestro, a cui entrambi ad un certo punto si ribellano, e cadono, perché pensano di poter fare da soli (c’è un’analogia anche in questo!) in realtà non andrebbero da nessuna parte, l’uno rimarrebbe impelagato nella “selva oscura” dello sconforto e della depressione per essere stato esiliato da Firenze, l’altro nelle trappole emotive e negli scrupoli che lo bloccano nell’azione, la guerra che deve fare contro gli usurpatori, membri della sua stessa famiglia. Invece scelgono di affidarsi, di farsi guidare. Il maestro è colui in grado di dare la visione di una realtà impalpabile, metafisica, colui in grado di attivare nel discepolo la “funzione trascendente”, come la definiva Jung, che non si attiva automaticamente, ma richiede un lavoro.
Che messaggio lanciano all’uomo d’oggi la Commedia e la Gita?
L’amore. L’amore vero, quello per cui si può anche morire. La devozione non bigotta. Il passaggio a una dimensione personale in cui le scelte delle vita, le grandi e le piccole di tutti i giorni, vengono dettate non dalle intemperanze dei sensi, non dai calcoli della mente, ma dalla generosità del cuore. Dalla fiducia, non dalla paura; dalla verità non dalla menzogna. Dalla libertà responsabile. È un percorso di disciplina e di costanza, anche di lotta. I sentieri spirituali sono tanti. E ognuno può scegliere quello più adatto in base alla propria sensibilità, al proprio livello di evoluzione. Quello dello Yoga, che origina dalla Gita appunto e da Patanjali, è uno dei sentieri. Chi ha iniziato a praticare sa cosa intendo.
Che messaggio vuole lanciare lei, Marco Ferrini, mettendo a confronto la Divina Commedia e la Bhagavad Gita?
Portare questa conferenza nelle città italiane, è un servizio che faccio alla mia Beatrice, la mia anima (Beatrice è l’amata del Poeta, che lo guida attraverso Paradiso, ndr). Ed è anche un servizio alla libertà e alla convivenza pacifica tra i diversi credo religiosi, in nome del messaggio più profondo che li unisce tutti. Trovarci a leggere insieme la Divina Commedia e la Bhagavad Gita, poterle confrontare, commentare, scoprire ciò che accomuna le tradizioni culturali e spirituali dell’Oriente e dell’Occidente, è un forte antidoto contro le guerre di religione, contro quelli che ancor oggi bruciano vive le persone nel nome della religione. I roghi in piazza: accadevano ai tempi di Dante, e accadono ancor oggi. Questa libertà che noi abbiamo conquistato, è un bene troppo grande, non la dobbiamo perdere.
Francesca Nicastro